Recensione a “Dopo la Pioggia” di Antonio Rapacciuolo

Recensione a “Dopo la Pioggia” di Antonio Rapacciuolo

Dopo la pioggiaDopo la pioggia di Antonio Rapacciuolo è un romanzo storico ambientato in Italia durante la Seconda guerra mondiale, ma anche nel mondo attuale, nell’era digitale 2.0. La storia è quella di due mondi, due generazioni di uomini, due momenti lontani eppure vicini grazie al viatico originato da un semplice oggetto: una poesia. Luca, imprigionato nel campo di concentramento di Fossoli, scrive poesie allo scopo di preservare la labile umanità che ancora lo tiene in vita; più di mezzo secolo dopo Paolo, giovane aspirante scrittore napoletano, si ritrova quelle poesie tra le mani.

Il doppio binario temporale, l’intersecarsi di diversi destini, il varco aperto da un oggetto che per qualche motivo ha viaggiato lontano nel tempo e nello spazio, mi hanno subito riportato alla mente un capolavoro di Don Delillo, Underworld. L’opera si apre sull’episodio di una partita di baseball del 1951, in cui dopo un miracoloso fuoricampo del nono inning della partita, i New York Giants si portano a casa una clamorosa vittoria. Da quel momento la palla da baseball che ha segnato la partita segue il più improbabile dei percorsi, divenendo il filo conduttore della vicenda, che dalla Guerra fredda procede fino ad arrivare agli anni Novanta.

In Dopo la pioggia come in Underworld seguiamo il percorso dell’oggetto unificatore che funge da testimone per permettere ai personaggi di raccontare la loro storia, il loro passato, i loro desideri. E così li conosciamo. Parliamo di individui che con ogni probabilità non condividono nient’altro se non l’aver posseduto – almeno per un attimo – la stessa palla da baseball o le stesse poesie. È chiaro come ad una prima impressione le loro strutture si rassomiglino inevitabilmente; per quanto riguarda il loro significato, probabilmente le scelte formali risultano da intenzioni e ricerche differenti, ma in ogni caso non possiamo definirle vicendevolmente esclusive.

Entrambe le opere hanno una forte funzione informativa, e assumono lo statuto di documento, riflettendo in maniera esaustiva e coerente due momenti della storia mondiale ugualmente imponenti. Sia l’uno che l’altro titolo vogliono utilizzare un elemento simbolico tramite il quale poter conoscere la storia, escludendo quelli che sono divenuti per noi i mezzi di massa maggiormente sfruttati, appunto, i mass media.

Credo sia questo il punto cruciale, quello che suggerisce la vicinanza degli scritti e restituisce il connotato genuino all’evento storico, isolato tra due parentesi temporali. Nessuno dei momenti appartenenti al passato giunge ai personaggi tramite televisioni, Internet o giornali; sono attimi fugaci appartenenti ad un frangente del quale non si hanno video, foto, testimonianze oculari. Tutto ciò che rimane dell’evento è un oggetto. Quell’oggetto sarà la testimonianza, quell’oggetto sarà l’emblema di ciò che oggi non conosciamo più: il momento autentico.

La riproducibilità tecnica di Benjamin è il grido invisibile di entrambe le opere; fatichiamo a riconoscere quanto sia valido il momento che non può ripetersi, quell’attimo che rimane lì, a riempire un momento di storia in cui gli uomini hanno condiviso un’esperienza. Non siamo più in grado di guardare all’evento, ma guardiamo alla sua riproduzione, alla sua copia, alla copia della sua copia, e questo lo rende tristemente falso, svuotato di qualunque significazione.

In un momento come quello in cui viviamo, in cui veniamo bombardati da migliaia di immagini, video e testimonianze digitali, la verità è scandita in maniera automatica dalla rappresentazione dell’evento, insomma, dalla sua riproducibilità. Il grado di questo connotato stabilisce parallelamente il grado della credibilità: se non è riproducibile allora non è mai avvenuto, semplicemente non c’è. Come immediata conseguenza ne risulta che non conosciamo più l’importanza di ciò che accade fuori dall’obiettivo della fotocamera, addirittura ne mettiamo in dubbio la stessa esistenza. Ma la storia c’è. E avviene. Ed esiste. Ha poco a che vedere con il montaggio e la ripresa, e spesso ci dimentichiamo quanto sia importante ricordarla, anche se a nostra disposizione rimangono pochi testimoni, poche parole, o semplici oggetti: una lettera o una palla da baseball.

Rapacciuolo in Dopo la pioggia ci ricorda quanto sia importante tenere sempre vivo l’interesse e la conoscenza. È nostro dovere ricordare sempre, soprattutto il sacrificio effettuato da migliaia di uomini per restituirci la libertà di cui oggi godiamo e che spesso diamo per scontata, che stentiamo a percepire come qualcosa di guadagnato duramente; forse proprio perché la Storia di sessant’anni fa non ci offre l’occasione di vederla, ascoltarla, spostare il cursore a capo e premere Play. Ma questo non deve significare che siamo scagionati dalla colpa di dimenticare.

La redazione – Monica Cavina